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Sito web della comunità Masci Faenza 1

Secondo campo regionale della scoperta "Essere comunità nel Masci"
Cesena – Centro di Spiritualità, 07 - 08 marzo 2009
(Inserito da: Eliana Altomare)

Come da promessa l’appuntamento per il "2° campo di formazione" regionale è stato confermato e, a soli cinque mesi dal primo (tenutosi il 18-19 ottobre 2008), ha avuto luogo.
Non essendo il primo, ed essendo stato preceduto da un campo estremamente proficuo a detta dei partecipanti, le aspettative erano altrettanto se non più elevate.
Il tema che ha guidato questi due giorni e che voleva dare un seguito a quanto iniziato in ottobre, è "essere Comunità nel M.A.S.C.I.".


Quali sono le motivazioni per cui “fare comunità”?
Queste sono da trovare in ciascuno di noi e cercare di tirarle fuori.
Nell’Agesci, nel noviziato prima e nel clan poi, comunità vuol dire fraternità, fraternità che si vive sulla strada camminando insieme e facendo di ogni percorso compiuto insieme una ricchezza.
Questa fraternità diventa comunità quando la si vive in modo adulto.
L’art. 4 dello statuto del Masci così definisce la comunità:
“Cellula fondamentale e primaria del M.A.S.C.I. è la Comunità, luogo di amicizia, di condivisione, di esperienza, di fede e di servizio, dove si realizza l’educazione permanente dell’Adulto scout secondo lo spirito ed il metodo ispirati alla pedagogia degli Scout e delle Guide, i cui elementi caratterizzanti sono indicati nel Patto comunitario”.
Tale definizione ben rappresenta il percorso scout da noi scelto per crescere come adulti, un percorso che da educativo diviene “auto-educativo”.
La fraternità del noviziato e del clan diviene comunità nel Masci.
L’art. 4 dice che la comunità diviene luogo di amicizia e condivisione, luogo dove si realizza l’educazione permanente dell’adulto-scout.
Qual è il significato di queste due parole accostate: adulto-scout?
Il vocabolario ci dice che adulto è colui che è nella piena maturità fisica, psichica e sessuale, senza fare alcun riferimento alla componente affettiva.
Quali altre caratteristiche ha o dovrebbe avere quindi questo “adulto”?
Se aggiungessimo alla definizione del vocabolario fedeltà alla legge scout e percorso educativo avremmo l’ “adulto-scout”. Volendo arricchire di contenuti questa parola cos’altro potremmo dire per delineare meglio sotto il profilo “affettivo-emozionale”questa definizione?
L’”adulto-scout” è: fedele, sincero, istintivo, cosciente, disponibile, consapevole, intraprendente, ubbidiente, creativo, vigile, responsabile, umile, capace di ascoltare, critico, laborioso, ottimista, sognatore..
Questo elenco è un elenco di qualità della persona, non necessariamente scout, ma possibilmente un adulto che durante la sua crescita arricchisce la propria personalità di tutte queste peculiarità.
Abbiamo così aggiunto la parte affettiva alla definizione del vocabolario definendo, quindi, come dovrebbe essere un adulto che diviene “scout” tramite l’obbedienza alla legge.
Gli adulti scout, riunendosi, diventano quindi comunità.
L’art. 4 ci prospetta un impegno non da poco. Allora perché voler fare tanta fatica?
“Essere-Fare” comunità comporta notevoli difficoltà che “io-singolo” scelgo liberamente di affrontare.
Il fatto di approcciarsi da grande allo scoutismo e di “promettere” dovrebbe dare  piena consapevolezza di ciò che si fa, con tutte le ansie e preoccupazioni che ciò comporta.
Questa scelta non si limita al voler fare un’esperienza, essa implica il voler camminare in avanti, trovare lo sprono per procedere individualmente, come singole persone che scelgono con altri adulti di condividere un percorso comune.
Nella comunità trovo coloro che diventano miei fratelli, con cui divido e condivido la mia vita; se poi gli altri diventano anche amici, persone speciali con cui intraprendere un cammino di fede cosa si potrebbe desiderare di più?
Spesso, però, questa rimane un’utopia perché in comunità si arriva ad un punto dal quale è difficile spostarsi e le motivazioni possono essere molteplici, prime fra tutte, forse, la diversità e l’eccessivo zelo con cui il singolo vuol far prevalere le proprie idee, dimentico di quell’umiltà e capacità di ascoltare che definiscono l’ Adulto.
Occorre, a tal punto, tornare indietro a ricercare i motivi per cui si è scelto di diventare comunità.
Occorre fermarsi ed imporre la riflessione per recuperare l’entusiasmo che inizialmente ha fatto scegliere a ciascuno di “fare comunità”.
È necessario un esercizio di condivisione e amicizia; l’una non può e non deve escludere l’altra.
Allora, cosa ci impedisce di fare comunità?
Il fatto di essere adulti e di avere perciò un carico personale di esperienze pregresse, ci porta a giudicare, ma non ad essere giudicati. Non sempre, quindi, accettiamo di buon grado che qualcuno ci giudichi.
Spesso, in alcune comunità, c’è assoluta dipendenza dal magister o mancanza di comunicazione e curiosità, mancanza di disponibilità all’accoglienza e all’ascolto. A volte il calo di entusiasmo o la mancanza di un obiettivo comune sono determinanti per la crescita di una comunità.
L’essere fratelli è una verità che viene dal Vangelo e che gli scout hanno fatto propria e la sua assenza è causa di tutte le guerre del mondo e della violenza.
A volte la comunità può essere un gruppo spontaneo, travestito da comunità, in cui ciascuno si sente autorizzato a comportarsi a proprio modo. E’ difficile essere fedeli, essere coerenti, essere presenti e attivi, essere osservanti degli orari e degli impegni comuni, essere disponibili ai cambiamenti. Occorre, però, accettare che nella comunità ci siano delle regole, valide per tutti.
Quindi quali sono le motivazioni per fare comunità?
Far parte di un gruppo di persone è un arricchimento personale e culturale. Stare insieme e condividere gli stessi valori è uno sprono, ancor più se ciascuno si sente necessario per la comunità così com’è, senza filtri, con pregi e difetti. Adoperarsi insieme nel servizio cementifica ancor più i rapporti. Ogni evento diventa spunto di comunicazione e per questo occorre averne cura prestando attenzione ai dettagli: l’ambientazione e gli orari non sono da sottovalutare.
Il confronto implica fiducia e la fiducia è alla base di una comunità. Essa diviene, quindi, una palestra il cui prodotto siamo noi al di fuori, nella società.
Sapersi relazionare è basilare e il modo migliore per farlo in concreto è guardarsi in viso  aiutando, così, il confronto.
In comunità ciascuno porta un’idea che non è personale, ma è un’idea comunitaria proponendola e non imponendola.
Ogni comunità si compone di più identità e non di una unica, ciascuna fondamentale per tracciare il percorso.
“Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albero.” (Matteo 12, 33)
Noi siamo il “frutto” di una “buona” comunità o di una comunità che ha mancato in qualcosa, noi siamo lo specchio del percorso tracciato, un percorso che può aver prodotto più o meno “buoni frutti”.
Il frutto della comunità dipende dallo spirito e dal modo con cui ciascuno di noi si pone.
“L’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive.” (Matteo 12, 35)
Per creare relazioni vere dobbiamo: condividere, essere autentici, creare reciprocità, anche a costo di procurare dispiacere a qualcuno.
La comunità è un ambiente dove creare relazioni educative che hanno un “prima” in quanto è un laboratorio dove si collaudano rapporti interpersonali, un “durante” che diviene consistente quando la comunicazione è efficace e attenta e un “dopo” dal momento che il percorso diviene educativo.
Occorre, quindi, elaborare, applicare e verificare ciò che ha prodotto.
Il risultato dipende da noi.
“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato?” (Matteo 5, 13)
Il sale è la sostanza dell’equilibrio, se privassimo una pietanza del sale il suo gusto risulterebbe alterato.
Persone che di fronte ad una società che privilegia l’effimero seguono la pace e la misericordia, seguono il “per-dono” rappresentano il sale, l’equilibrio.
Gesù dice: “o siete discepoli autentici o siete zero”; se, quindi non riusciamo ad essere il sale della terra,non siamo nulla.
“Voi siete la luce del mondo..” (Matteo 5, 14).
Se, quindi, scegliamo di essere discepoli e testimoni con il “fazzolettone” che ci contraddistingue, accettiamo di essere giudicati senza tirarci indietro. Assumiamo, quindi, una responsabilità pubblica.
“Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.” (Matteo 5, 15)
La “lucerna” deve illuminare tutti, credenti e non, nessuno escluso tracciando un percorso che da vagabondi ci renda pellegrini.
Occorre fare del proprio disegno un disegno comune, tracciare le linee guida e lasciare spazio agli altri di arricchire e completare il progetto.
Perché una comunità funzioni serve una forte motivazione e chi ne ha di più deve impegnarsi per coinvolgere chi ne ha bisogno.
Con questo campo abbiamo sperimentato che è possibile essere comunità.
Il “fuoco” con cui abbiamo concluso ha assunto un profondo significato ed una speranza per il futuro di ciascuna comunità, ci siamo augurati che il campo funzioni come i tizzoni sotto la cenere che, pur apparentemente spenti, continuano ad alimentare la fiamma.

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